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DALL’EPO ALLA TALIDOMIDE, LA NUOVA VITA (E LE NUOVE INDICAZIONI) DI VECCHI FARMACI

  • Immagine del redattore: hodrin
    hodrin
  • 22 mar 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

L’ultima della lista è l’eritropoietina: usata da trent’anni nell’anemia da insufficienza renale, di recente è stata approvata per l’uso nelle sindromi mielodisplastiche, patologie che colpiscono di solito persone in là con gli anni provocando una consistente carenza di globuli rossi.

Un “riciclo” di vecchi farmaci per nuove indicazioni che non è affatto nuovo: gli esempi di riscoperte di principi attivi sono numerosi e capita pure che la seconda indicazione diventi così importante da oscurare la prima.

L'eritropoietina o Epo

La maggioranza la conosce perché è stata protagonista di scandali sportivi: alcuni atleti di resistenza, soprattutto ciclisti, l’hanno usata per aumentare l’emoglobina in circolo e quindi avere un trasporto di ossigeno più efficiente, in realtà l’Epo è in uso da trent’anni per l’anemia da insufficienza renale. Come è stato riferito all’ultimo congresso dell’European Hematology Association di Madrid da pochissimo Epo ha anche un’altra indicazione, la terapia delle sindromi mielodisplastiche: in questo caso il sangue è povero di globuli rossi perché il midollo osseo non funziona più a dovere, così l’anemia è grave e pericolosa (i pazienti sono di solito over 65 e la stanchezza e debolezza possono portare a cadute e fratture, per esempio). «Per curarla finora avevamo soltanto le trasfusioni regolari, che tuttavia non consentono di mantenere l’emoglobina a livelli stabili e inducono un sovraccarico di ferro da scongiurare con una terapia ferrochelante, non priva di effetti collaterali. Con Epo basta una semplice iniezione sottocute a settimana, che si può fare anche da soli a casa propria, per ripristinare in circa la metà dei casi un livello corretto e stabile di emoglobina: un vero ‘farmaco-mago’ che cambia drasticamente la qualità di vita dei pazienti, eliminando bene e a lungo i sintomi dell’anemia».

L'Aspirina

La classica aspirina è forse il caso più eclatante di “riciclo” di un vecchio farmaco per nuove indicazioni. La compressa a base di acido acetilsalicilico affonda le sue origini addirittura ai tempi di Ippocrate, nell’antica Grecia, quando si consigliava l’uso di decotti di corteccia di salice per sopportare meglio le doglie del parto. Poi, a fine ‘800, la sintesi dell’aspirina vera e propria, il primo antinfiammatorio non steroideo usato per decenni come antidolorifico e antipiretico senza che se ne conoscesse a fondo il meccanismo d’azione, scoperto solo negli anni ‘70. Anche a seguito degli studi condotti per capirne il funzionamento si è capito che le potenzialità del farmaco andavano ben oltre verificando che a dosaggi bassi, inferiori a quelli usati per l’effetto antinfiammatorio, agisce soprattutto sulle piastrine impedendo che si aggreghino. Da qui la nuova vita dell’aspirina a basso dosaggio, usata oggi per la prevenzione di nuovi eventi cardiovascolari in chi ha già avuto infarti o ictus; sono sempre più numerose, inoltre, le ricerche che indicano come la cosiddetta “Aspirinetta” possa ridurre la probabilità di alcuni tumori (fra cui colon, pancreas e prostata, con una riduzione del rischio che supera il 30%), ma per il momento non esiste l’indicazione all’uso per questo scopo in persone sane.

Gli ACE-inibitori

Sono nati come farmaci antipertensivi negli anni ‘80, dopo che per un paio di decenni si è studiato l’enzima convertitore dell’angiotensina (ACE, appunto) e il suo ruolo nella pressione arteriosa. Da allora sono stati ampiamente usati da milioni di ipertesi, finché a metà degli anni ‘90 Giuseppe Remuzzi, nefrologo dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, scoprì che gli ACE-inibitori hanno un’azione protettiva specifica sui reni: Remuzzi ha dimostrato che rallentano la progressione dei danni nei pazienti con insufficienza renale e favoriscono anche la “rigenerazione” del tessuto del rene, aprendo la strada alla possibilità di riparare i danni renali e scongiurare (o quantomeno posticipare parecchio) la necessità di dialisi o di trapianto.

Il Viagra

La pillola blu per combattere l’impotenza è forse uno dei farmaci più famosi al mondo, di sicuro uno dei più falsificati e venduti attraverso canali paralleli, per es. il web, sfruttando il fatto che spesso gli uomini cercano scorciatoie per non dover confessare al medico i loro flop. Sildenafil, questo il suo nome, non è nato però per risolvere i guai di chi soffre di disfunzione erettile o per migliorare le performance sessuali: l’uso per cui è noto oggi deriva dal “riciclo” di un farmaco sviluppato e testato inizialmente, negli anni ‘90, per i malati cardiovascolari. L’obiettivo di chi lo creò era trovare un medicinale d’aiuto contro l’angina pectoris, invece durante la sperimentazione ci si accorse che la vasodilatazione indotta dal farmaco aveva come effetto collaterale l’induzione di un’erezione. Alla fine degli anni ‘90 fu approvato per la cura della disfunzione erettile, abbandonando completamente la strada dell’impiego in pazienti cardiovascolari.

La talidomide

La talidomide fu messa in commercio negli anni ‘50 come farmaco antiemetico, sedativo e ipnotico specificamente pensato per le donne in gravidanza. Peccato non fosse mai stato sperimentato in maniera esaustiva nell’uomo o in animali in gravidanza: il risultato furono migliaia di bambini nati focomelici e il precipitoso ritiro del farmaco dal commercio nei primi anni ‘60. La storia di talidomide però non è finita, perché oggi ha una seconda vita: negli anni ‘90 si è iniziato a studiarla per i possibili effetti antitumorali e oggi si sa che ha un’azione contro diversi tipi di cancro, perché blocca la proliferazione dei vasi sanguigni che nutrono il tumore impedendone la crescita. La vicenda della talidomide è emblematica non solo degli strani destini dei farmaci, che possono passare dal dimenticatoio a un nuovo utilizzo che addirittura li riabilita agli occhi del pubblico, ma soprattutto dell’importanza di una buona ricerca: anche grazie a questo medicinale si è capito quanto sia essenziale fare sperimentazione in modo corretto, ampliando l’osservazione a diverse specie e soprattutto non dando mai per scontate sicurezza e tollerabilità.

(Salute, Corriere)

 
 
 

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